sabato 6 luglio 2013

PAULO FREIRE: a scuola di utopia

 
mercoledì 22 agosto 2012
Scritto da Pina Montesarchio
 


A partire dai tre assi principali costituiti dai tre capitoli in cui si suddivide il libro Pedagogia dell’autonomia. Saperi necessari per la pratica educativa, Freire traccia la sua idea di utopia.

I: Non c’è insegnamento senza apprendimento - Insegnare richiede una riflessione critica sulla pratica.

II: Insegnare non è trasferire conoscenza - Insegnare richiede consapevolezza della propria incompletezza.

III: Insegnare è una peculiarità umana - Insegnare richiede la convinzione che il cambiamento è possibile.

La straordinaria carica ideale ed emotiva del messaggio di Freire, il concepire l'istruzione come una fondamentale tappa dell'emancipazione della persona, l'indissolubile nesso creato tra la crescita della conoscenza e la crescita della “coscienza critica”, il carattere profondamente rivoluzionario delle sue premesse e del suo lavoro non possono lasciare indifferenti.

Il concetto stesso di “alfabetizzazione” potrebbe essere assunto come centrale; l'alfabetizzare è il dotare l'individuo degli strumenti per “leggere il mondo”, se nelle selve e nelle favelas brasiliane questo coincideva con l'insegnare a leggere e scrivere, ma anche imparare a discutere dei problemi vissuti quotidianamente, tutto questo spesso diretto anche agli adulti; qui ed ora si tratta di rendere coscienti del mondo in cui vivono (“aiutarli ad emergere” direbbe Freire) bambini ed adolescenti che, pur sapendo leggere e scrivere, sono spesso inermi rispetto ai modelli sociali proposti ed imposti dalla cultura dominante che tende a farne dei supini esecutori e, soprattutto, degli accaniti consumatori.
Utopista é colui che non é inserito nella realtà o non la conosce: é colui che immagina realtà possibili, belle e nobili, perché non prende in considerazione le modalità per superare difficoltà e ostacoli che ne impediscono la realizzazione.

Freire opera un capovolgimento di rotta. Utopia come modalità dell’agire, più precisamente dell’agire politico.
“Lei è all'orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per quanto io cammini non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? Serve proprio a questo: a camminare.” (Eduardo Galeano)

La pedagogia non può fare a meno dell’utopia come idea, direzione di senso, per realizzare la propria progettualità. Lo schiacciamento sul presente, l’atteggiamento di rinuncia e il disimpegno che caratterizzano le nostre attuali società e culture rendono ancor più necessario e irrinunciabile l’incontro tra pensiero pedagogico e pensiero utopico.

Riaffermare la necessità dell’utopia è indispensabile perchè la storia degli uomini è sempre costruita su un elemento di speranza; in tal senso l’utopia non è idealismo. Tra l’utopia e la sua realizzazione c’è un tempo storico, che è il tempo dell’azione trasformatrice. Non è possibile pensare di trasformare il mondo senza sogno, senza utopia o senza progetto. Cambiare comporta sapere che il cambiamento è possibile. E tuttavia non basta.

La trasformazione del mondo ha bisogno tanto di sogno quanto della indispensabile aderenza alle reali condizioni storiche, materiali, di sviluppo tecnologico, scientifico del contesto di chi sogna.

Metodo vuole dire “cammino”. Un metodo serve per dire come si può uscire da un luogo e camminare, con le parole e con le idee, per arrivare in un altro luogo.

In quest’accezione va pensato il metodo di Paulo Freire, la cui nozione fondamentale è quella di “territorio”: senza la conoscenza del territorio e delle sue problematiche – a livello naturale, sociale, culturale, politico e delle relazioni interpersonali e comunitarie – non è possibile progettare nessun tipo di azione educativa in prospettiva freireana. Freire rifiuta le ricette pedagogiche provenienti dai tecnicismi, convinto che ogni essere umano può trovare la strada a partire dalla consapevolezza di sé stesso e del contesto sociale, economico e culturale che lo circonda.

Una visione prospettica, aperta sul futuro e guidata da questa sorta di stella polare, lontana ma chiara e luminosa , nasce e sostiene azioni, proposte, interventi che procedono, sia pure attraverso i pericoli e gli ostacoli.

Con i piedi nel presente e lo sguardo nel futuro. Si tratta di vivere la storia come tempo di possibilità.

Si tratta di prendere le distanze da quegli atteggiamenti fatalistici conformi alla ideologia che immobilizza seondo il monito “la realtà è così, cosa possiamo fare?”

Freire afferma che utopico non significa qualcosa di irrealizzabile, non è espressione di idealismo. Utopia significa un atteggiamento dialettico negli atti di denunciare e dell’annunciare: denunciare la struttura che disumanizza ed annunciare la struttura che umanizzera. L’ utopia è un impegno nella storia.

Freire criticò apertamente e a più riprese le correnti del pensiero marxista più legate al determinismo storico, ribadendo che in ambito educativo è sempre la teoria a discendere dalla pratica, cioè dall’analisi sul campo dei diversi contesti sociali, economici e culturali, e mai accade il contrario. Scriverà Freire in Educação e mudança “Non sono arrivato alle classi popolari a causa di Marx. Sono arrivato a Marx a causa di esse. Il mio incontro con esse mi ha fatto incontrare Marx, e non il contrario”.

L’utopia rimanda alla speranza, che non è conoscere il futuro ma essere disposti, in un atteggiamento d’infanzia spirituale, ad accoglierlo come un dono. Ma lo si accoglie nella negazione dell’ingiustizia, nella protesta per i diritti umani conculcati e nella lotta per la pace e la fratellanza.

Dirà Danilo Dolci "Pace e’ un modo diverso di esistere. La pace che amiamo e dobbiamo realizzare non e’ dunque tranquillità’, quiete, assenza di sensibilità, evitare i conflitti necessari, assenza di impegno, paura del nuovo, ma capacità’ di rinnovarsi, costruire, lottare, è pienezza di vita (anche se nell’impegno ci si lascia la pelle), modo diverso di esistere".

Nel 1986 in occasione del ricevimento del Premio Unesco per la Pace, conferitogli a Parigi, Freire esprime pubblicamente il suo parere in merito al tema della pace mondiale: “Dalle genti anonime, sofferenti, sfruttate, ho imparato soprattutto che la pace è fondamentale, indispensabile, ma che la pace implica la lotta per la pace. La pace si crea e si costruisce nel e per il superamento delle realtà sociali perverse. La pace si crea e si costruisce nella costruzione incessante della giustizia sociale. Per questo non credo in nessuno sforzo chiamato “educazione alla pace” che, invece di svelare il mondo delle ingiustizie, lo rende opaco e tenta di miopizzare le sue vittime”.

Pensare la storia come possibilità significa anche riconoscere che, anche se l’educazione non puo fare tutto da sola, può però certo raggiungere qualche risultato. La sua forza sta nella sua debolezza.

La proposta freireana di partire dagli interessi diretti dell’alfabetizzando, in contrapposizione alla proposta educativa tradizionale consistente nel “depositare sapere”, significa in buona sostanza legare la dimensione concreta dell’esistenza alla dimensione teorica del sapere, costruendo in tal modo il percorso per un’autentica “pedagogia della prassi”.

Il verbalismo è un “vuoto bla-bla”, valorizza solo la parola e la teoria; l’attivismo invece è proprio di chi tende all’azione senza la guida della riflessione, è sempre reazionario, ama gli slogan, crede che la storia sia opera delle proprie mani; entrambi questi estremi, presto o tardi, si bloccano, non arrivano alla prassi, alla sintesi tra teoria e pratica, tra azione e riflessione. Questi due momenti coesistono in una relazione dialettica, non c’è dicotomia Soltanto nella prassi, infatti, l’uomo diventa soggetto, si umanizza; questa riflessione sull’azione è ciò che distingue l’uomo dall’animale. Gli uomini sono esseri di prassi, sono esseri del “che-fare”, mentre gli animali sono esseri del puro fare. Gli animali non “vedono” il mondo, vi si immergono; gli uomini, al contrario, in quanto esseri del “che-fare”, ne emergono e, oggettivandolo, possono conoscerlo e trasformarlo con il loro lavoro.

L’educazione come pratica di libertà, sempre in costruzione nello svelamento continuo di ciò da cui esplicitamente e/o occultamente dipendiamo.

Scrive B.Schettini in Educazione: riforma o rivoluzione, “Non c'è educazione senza la lotta per la libertà delle persone singole e associate. E chi vive per la libertà muore prima di vedere la libertà realizzata, perchè questa è la grande utopia dell'educazione. Ma in questo val la pena di cimentarsi, di sperimentarsi, però è controcorrente. Si è tacciati, a torto o a ragione, di essere rivoluzionari, fuori dal regime, fuori da ciò che è opportuno e conveniente, però è una bella scommessa.

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